Gli incendi dell’Amazzonia sono nel nostro piatto
In questi giorni abbiamo sentito molto parlare degli incendi che stanno flagellando l’America meridionale. Sappiamo che, nonostante i roghi siano una pratica consolidata in quelle regioni, quest’anno sono in largo aumento (+84% rispetto al 2018, scrive The Guardian) e potrebbero portare alla scomparsa di 10mila kmq di foresta. Vengono appiccati principalmente per creare nuovo spazio per pascoli e campi coltivati a soia (che verrà usata come foraggio e non destinata al consumo umano): risulta quindi necessario non finanziare l’acquisto di carne e mangime provenienti dal Brasile e dall’area amazzonica.
Oltre a questo, bisogna arrestare le perdite e iniziare a riforestare, il che richiede denaro. Come privati cittadini possiamo fare delle donazioni alle organizzazioni che si occupano di questo, mentre il presidente brasiliano Bolsonaro rifiuta i 20 milioni di dollari offerti dal G7 per l’invio di Canadair preposti a spegnere gli incendi.
Le conseguenze degli incendi
I punti chiave sono sostanzialmente quattro. La foresta amazzonica è la più importante oasi di biodiversità al mondo, il maggior carbon sink terrestre (letteralmente, un pozzo di assorbimento del carbonio, ossia un luogo che assorbe la CO2 e svolge un ruolo critico nella regolazione del clima), la fonte del 6% dell’ossigeno che respiriamo e una pedina cruciale nel ciclo dell’acqua su scala regionale e, forse, anche globale.
Il disboscamento sta avvicinando il punto di non ritorno verso la transizione da foresta pluviale a savana secca, con tutto quello che ne consegue in un momento di emergenza climatica come questo.

L’accordo UE-Mercosur
A questo punto è necessario chiamare in causa l’accordo politico firmato a giugno, dopo 20 anni di trattative, tra l’Unione Europea e Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, cioè i Paesi del Mercosur (Mercato Comune dell’America Meridionale). Questo trattato favorisce il commercio internazionale tra le nazioni aderenti attraverso l’abolizione dei dazi commerciali (stimati in 4 miliardi di € all’anno). Dopo l’entrata in vigore, ci dovremo immaginare un mercato più fluido, con la più grande area al mondo libera dalle tasse doganali, e tante merci in viaggio nell’oceano Atlantico. Esporteremo macchinari, automobili, farmaci e prodotti chimici in Sudamerica, mentre importeremo materie prime alimentari, mangimi e carne, soprattutto manzo e pollo. A che prezzo? L’aumento della richiesta di carne a livello internazionale è il primo driver della distruzione della foresta amazzonica.
Alla luce dei roghi che hanno interessato l’America meridionale quest’estate, i Paesi membri dell’Unione Europea stanno valutando l’ipotesi di sospendere l’accordo. Irlanda e Francia sono a favore del blocco, la Finlandia suggerisce di fermare almeno l’importazione della carne, mentre Spagna e Germania sono per mantenere gli accordi presi. Ne discuteranno i ministri economici in una riunione programmata il 13 settembre.
La carne invisibile
Il patto prevede l’esportazione di 100mila tonnellate di manzo e 160mila tonnellate di pollame in cinque anni, dall’area Mercosur diretta al mercato UE.
Questo permetterà al Brasile di aumentare la produzione di carne, già in espansione grazie al mercato cinese ed europeo. L’Italia è il secondo Paese in Europa per quantità di carne brasiliana importata, con 27 mila tonnellate all’anno (dati Eurostat 2018). Cercando al supermercato, però, non ne troverete traccia: gli utilizzi principali sono nella ristorazione collettiva e nella preparazione di alimenti in scatola. Semplicemente, sparisce.
Quando pensiamo alle mense sostenibili, ci piace immaginare un futuro in cui il nostro pranzo non sia legato al disboscamento, alla perdita di biodiversità, all’emergenza climatica, agli incendi, allo sfruttamento. Se già normalmente un piatto di carne ha un impatto devastante sul pianeta, un burger che proviene dalla foresta amazzonica rasenta la follia. Insieme, però, possiamo evitare tutto questo.
Se non vuoi che la tua mensa sia complice di questi crimini ambientali, contattaci. Ora è il momento giusto per ripensare a un sistema alimentare sostenibile e lungimirante, a beneficio di tutti.