Il sindaco di Lione elimina la carne dai menù scolastici e scatena l’ira dei ministri

In Francia è in corso una battaglia ideologica: il sindaco di Lione, Grégory Doucet, ha deciso di eliminare temporaneamente la carne dal menù scolastico con conseguenze a livello nazionale. Infatti, diversi ministri contestano la decisione di ridurre l’offerta della mensa scolastica a un piatto unico privo di carne. Poco importa se nel menù rimangono pesce e uova: la disposizione è apparsa irrimediabilmente estrema.

Una scelta pratica

Alla base della decisione c’è l’esigenza di sveltire la somministrazione dei pasti in mensa per evitare assembramenti e lunghe file di studenti: stiamo parlando, quindi, solo di senso pratico.

Il municipio spiega che, in ottemperanza alle indicazioni ministeriali, in mensa va rispettata una distanza tra i bambini pari a due metri, il che equivale a far mangiare meno studenti alla stessa ora. Con una elevata percentuale di ragazzi che non mangiano la carne per motivi religiosi ed etici, pensare a un menù unico e nutrizionalmente equilibrato si è rivelata la scelta più saggia da fare per risolvere il problema

La delibera però non è piaciuta né al Ministro dell’Agricoltura, Julien Denormandie, che ha twittato un invito a «togliere l’ideologia dai piatti dei bambini», né tantomeno al Ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, che l’ha definita «una scelta moralista ed elitaria, che esclude le classi popolari», perché «molti bambini possono mangiare la carne solo a scuola».

Il commento del Ministro dell’Interno su Twitter

La carne come opportunità?

Siamo sicuri che l’alimento nutrizionalmente migliore da garantire alle famiglie sia proprio la carne? Il punto lo centra la Ministra per la Transizione Ecologica, Barbara Pompili, che sottolinea come i bambini sotto i dieci anni, in Francia, mangino in realtà più carne di quanto raccomandato dalle Linee Guida Nazionali.

Eliminare questo alimento dai menù scolastici, anche solo per un breve periodo e in risposta a un’esigenza concreta, ha scoperchiato un vaso di Pandora di vecchie credenze dure a morire – e di commenti caustici di una classe politica più attenta alle tradizioni culinarie che agli effettivi bisogni della popolazione.

Il mito delle “proteine nobili” poggia le basi su una modalità di classificazione delle diverse fonti proteiche che, nel corso degli anni, ha fatto più danni che altro: la prima causa di morte nei paesi occidentali, infatti, è rappresentata dalle patologie cronico-degenerative.

Oggi sappiamo che tutti gli amminoacidi essenziali sono non solo presenti, ma anche largamente distribuiti tra legumi e cereali. Le proteine vegetali, a differenza delle proteine animali, non contengono grassi e colesterolo e sono invece ricche di fibre e sostanze protettive per la salute. Non solo, sono anche quelle con il minor impatto ambientale.

Per questo motivo, nel 2019 alcuni ricercatori di Yale e Stanford hanno pubblicato uno studio in cui suggeriscono di rivedere la catalogazione degli alimenti proteici, tenendo conto anche dell’impatto sulla salute umana e sull’ambiente. Secondo questa logica, sarebbero i legumi a venire finalmente definiti “proteine nobili”.

Secondo uno studio del 2019, se dovessimo tenere conto di impatto ambientale e benefici in termini di salute, i legumi sarebbero la scelta proteica vincente.

Conclusioni

La vicenda francese ci fa capire quanto lavoro ci sia ancora da fare – e quanto sia difficile farlo. La tentazione di guardare il dito e non la luna si rivela, ancora una volta, irresistibile. 

Una dieta equilibrata deve essere basata sui cibi vegetali: cereali, legumi, frutta e verdura sono alla base di qualsiasi piramide alimentare concepita da esperti del settore. Una scelta razionale, e che per giunta offre solo vantaggi, è stata trasformata a sproposito in una battaglia ideologica tra vegetariani e carnivori.

Se proprio dobbiamo trasportarla sul piano delle opportunità, allora diciamo le cose come stanno. Qui non si tratta di obbligare i bambini a una dieta vegetariana, ma (al massimo) di permettere che anche i figli delle classi sociali più povere possano assumere fibre, vitamine, minerali ed evitare (almeno per un pasto al giorno) grassi saturi, colesterolo e inquinanti.

Lo scivolone francese risalta in particolar modo se paragonato alla strategia danese di inizio anno, di cui avevamo già parlato in questo articolo.


Valentina Taglietti

Food policy manager

Laureata in Biologia applicata alle Scienze della Nutrizione, si occupa di divulgazione ed educazione alimentare. Coordina il progetto MenoPerPiù, nel quale gestisce i rapporti istituzionali e con le aziende, lo sviluppo dei progetti e la comunicazione digitale.