Mangiare vegetale è più sostenibile, lo conferma uno studio dell’Università di Oxford

L’alimentazione vegetale ha un’impronta ecologica di un quarto rispetto a una dieta con un consumo di carne giornaliero: è quanto emerge dalla nuova ricerca dell’Università di Oxford pubblicata su Nature Food a luglio 2023. 

Si tratta di uno degli studi più completi realizzati finora che indaga l’impronta ecologica di sei diverse tipologie di diete – ad alto, medio e basso consumo di carne, pescetariana, vegetariana, vegetale – considerando un ventaglio di 10 indicatori ambientali.

Lo studio dell’Università di Oxford

Il team di ricerca dell’Università di Oxford guidato da Peter Scarborough ha dapprima esaminato i consumi alimentari effettivi di oltre 55 mila cittadini inglesi nel corso dei 12 mesi precedenti, dopodiché li ha incrociati con i dati di 570 valutazioni del ciclo di vita (LCA, Life Cycle Assessment) di 38 mila aziende agricole in 119 Paesi nel mondo. 

Solitamente, per studi di questo genere, vengono impiegati modelli dietetici e valori medi per l’impatto di ciascun alimento. In questo caso, l’utilizzo di dati reali e di un così ampio database di LCA ha consentito di misurare con maggior precisione l’impronta ecologica associata alle effettive scelte alimentari, tenendo conto della provenienza e delle differenti metodologie di produzione.

Dallo studio è così emerso che le diete vegetali hanno performance di gran lunga migliori rispetto agli altri regimi alimentari considerati. Esse sono infatti caratterizzate da un impatto ambientale di un quarto rispetto alle diete ad alto consumo di carne (>100 g giornalieri). 

Ci sono grandi differenze anche tra regimi ad alto e a basso consumo di carne: dimezzare la quota di questo alimento consente di abbattere gli effetti negativi del 30%. Basti pensare, sottolineano i ricercatori, che una simile riduzione parziale, se applicata a tutte le persone che mangiano carne nel Regno Unito, sarebbe sufficiente per pareggiare le emissioni di 8 milioni di automobili.

In generale, emerge ancora una volta una correlazione positiva tra la riduzione del consumo di carne e derivati e il miglioramento di tutti gli indicatori ambientali, indipendentemente dalla provenienza e dalle modalità in cui gli alimenti sono stati prodotti.

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Un sistema alimentare da riformare

Secondo le Nazioni Unite, l’allevamento è una delle principali fonti di deforestazione e di perdita di biodiversità: responsabile della metà delle emissioni di gas serra associate al cibo, occupa oltre l’80% delle terre agricole e consuma oltre la metà dell’acqua destinata all’agricoltura. 

L’aumento della popolazione globale in generale, e di quella che ha accesso a una dieta iper-proteica in particolare, ha portato negli ultimi anni a un’impennata nella richiesta di carne. Già oggi, per soddisfare questa domanda crescente, vengono strappati oltre 10 milioni di ettari all’anno alle foreste pluviali di tutto il mondo, principalmente per fare spazio ai pascoli e alla produzione di soia OGM utilizzata come mangime per il bestiame. 

Per arginare una crisi climatica sempre più pressante, è urgente un cambiamento diffuso delle abitudini alimentari verso diete più sostenibili, che prevedono un consumo maggiore di alimenti vegetali a fronte di una sostanziale riduzione di quelli animali. Un cambio di paradigma, quello auspicato, che spetta in prima istanza ai Paesi ad alto reddito, principali responsabili dell’attuale crisi ecologica, e che, per questo, hanno il dovere e la responsabilità di guidare la società globale verso sistemi alimentari più equi, sani e sostenibili, attraverso la combinazione di scelte individuali e misure politiche dedicate.


Davide Zarri

Food Policy Officer

Laureato in Food System Management, con diversi anni di esperienza nel campo delle politiche alimentari urbane, gestisce le relazioni per il progetto MenoPerPiù e si occupa di sensibilizzazione e divulgazione sui temi dei sistemi alimentari sostenibili.